Cos’è il BIM?

Appunti della storia del BIM dell’Adda (Tratto dal dossier BIM a cura di Alberto Frizziero e disponibile integralmente sul sito www.gazzettadisondrio.it)

 

  • Il Testo Unico sulle acque del 1933  obbligava i produttori a riservare ai Comuni “rivieraschi” energia a prezzo di costo per i servizi pubblici. Restavano però alcuni problemi: la valutazione discrezionale del Ministero nel fissare il costo, l’ indennizzo solo per i Comuni rivieraschi, l’ utilizzo di energia solo per servizi pubblici, l’ obbligo per i Comuni di allacciarsi alle centrali e agli apparati di trasformazione (di fatto impossibile per la maggior parte dei Comuni).
  • Finita la guerra c’è stata una forte ripresa dell’industria, in particolare quella siderurgica, che ha bisogno di tanta energia. Si sono aperti cantieri idroelettrici un po’ dappertutto. A questo punto non era più sufficiente per i Comuni il discorso dei sovracanoni “rivieraschi”, che pure vieniva ugualmente portato avanti fra un ricorso e l’altro dei produttori idroelettrici. Lo sfruttamento intensivo delle acque suscitava una serie di reazioni perché a causa dello sfruttamento idroelettrico veniva meno l’acqua per una serie di altre attività. Non era più soltanto un problema della sola agricoltura come un tempo. Il problema approdò in Parlamento nel 1952 e l’ anno dopo venne approvata la legge 959/1953.

La storia del BIM comincia con questa legge.

  • La legge 959/1953 nel suo primo articolo incarica il Ministro dei Lavori Pubblici di stabilire quali sono i bacini imbriferi con relativo perimetro.
  • La delimitazione del perimetro del Bacino Imbrifero Montano dell’Adda avviene con D.M. del Ministro. Il bacino comprende i 78 Comuni della provincia di Sondrio e Sorico in provincia di Como
  • Il Ministro assegna ai Comuni un termine “per presentare domanda intesa ad ottenere la costituzione del Consorzio obbligatorio del bacino imbrifero montano dell’Adda… oppure la dichiarazione di non adesione al Consorzio stesso”.
  • Se almeno tre quinti dei Comuni di un bacino imbrifero saranno d’accordo verrà  costituito un Consorzio obbligatorio. É quello che è successo in provincia. Il problema grave, nel caso di contrarietà alla soluzione consortile, sarebbe stato il riparto fra i Comuni. Nel frattempo inizia il deposito, da parte dei concessionari, dei soldi in banca d’Italia.
  • Chiesero con delibera del Consiglio Comunale la costituzione del Consorzio 64 dei 78 Comuni  (a 48 la soglia dei 3/5 oltre la quale scatta l’obbligatorietà di adesione per tutti e quindi anche per quelli che non hanno dato il consenso). Quindi 64 SI, 7 NO e 7 senza risposta. Votarono  NO Berbenno, Bianzone, Caiolo, Castello dell’Acqua, Forcola, Grosio, Valdisotto. Nessun pronunciamento da Albosaggia, Ardenno, Castione, Cino, Talamona, Tartano, Villa di Tirano.
  • Si passò poi alla redazione dello Statuto del BIM e al relativo pronunciamento da parte di tutti e 78 i Comuni soci. A ottobre 1955 a tempo di record il SI  arrivò da 56 Comuni,  13 lo approvano ma con osservazioni,  Grosio deliberò di astenersi, 8 restarono in silenzio e sono Albosaggia, Berbenno, Castello dell’Acqua, Piateda, Tartano, Tresivio, Valdisotto, Villa di Tirano.
  • Sentenza della Corte Costituzionale n. 38/1965 dps. Il 31.5.1965:

“La Legge ha conferito ai comuni montani un diritto nei confronti di tutti coloro che, qualunque fosse la loro situazione rispetto allo Stato, ritraevano una utilità dalla montagna, trasformandola in ricchezza nelle zone di pianura, senza che alle popolazioni della montagna ne risultasse un apprezzabile beneficio. Non è, pertanto, illegittimo che il legislatore abbia accordato qualche compenso a favore di quelle popolazioni e che, a tal fine, non abbia fatto discriminazioni fra i concessionari”.

  • Sino al 1976 il BIM ha operato in forma assolutamente autonoma salvo che per le delibere che andavano sottoposte prima alla Giunta Provinciale Amministrativa. e poi al Comitato di Controllo. In un certo senso l’Ente è stato una sorta di Finanziaria di Valle con grandissimi risultati in ogni campo. Entrata in vigore la legge regionale 27/1976 il fondo comune dovrà invece essere formalmente parcellizzato fra le Comunità Montane.
  • La prima fase problematica

I problemi attinenti il riparto del “fondo comune” del BIM fra le Comunità Montane nascono con la costituzione di due Comunità Montane in provincia.  In base alle competenze attribuite alle Regioni dalla legge 3.12.1971 n. 1102 la Regione doveva individuare le cosiddette zone omogenee nella quali si sarebbe costituita la Comunità Montana. La legge era nata per promuovere “la valorizzazione delle zone montane favorendo la partecipazione delle popolazioni, attraverso le Comunità montane, alla predisposizione e all’attuazione dei programmi di sviluppo e dei piani territoriali dei rispettivi comprensori montani…”. La  legge stabiliva che fossero le Regioni a emanare le norme di attuazione. In particolare c’era l’obbligo per gli altri Enti di attenersi a quanto previsto da piani e programmi delle Comunità Montane. Non solo, ma, importantissima era la prescrizione relativa ai piani urbanistici, “di cui si dovrà tener conto nella redazione dei piani generali di bonifica, dei piani regolatori e dei programmi di fabbricazione che i comuni sono tenuti ad adottare”. Avviata la procedura, dovendo la Regione procedere “d’intesa con i Comuni” diventavano importante le loro determinazioni. La Regione decise infine di creare in provincia di Sondrio  provincia le due Comunità montane di Valtellina e di Valchiavenna

  • La seconda fase problematica

La seconda fase dei problemi attinenti il riparto del “fondo comune” del BIM fra le Comunità Montane  nasce con la costituzione di quattro Comunità Montane in Valtellina. Questo nella logica sbagliata di pensare alla assemblea come ad un maxi-Consiglio Comunale e non già come ad una sorta di Parlamentino con le sue possibilità, ben più incisive, di partecipazione come dimostrato nel biennio 1976/77. La prima conseguenza negativa  fu la morte del Piano Territoriale. Se non si fosse smembrata la Comunità Montana unica e quindi colpevolmente gettato in un cestino il Piano territoriale  in tutto in Valtellina ci sarebbero state solo 7 aree artigianali (più sei piccoline). Il BIM nella sua attività autonoma sino al condizionamento del 1976 ha perseguito una politica a tutto campo, sia territoriale che economico-sociale.  Sempre con una visione unitaria dei problemi.

  • Le neonate Comunità Montane, così come indicato da una sentenza della della Corte Costituzionale (la 212/1976) hanno solo il diritto di formulare le indicazioni di intervento, di carattere programmatorio. In particolare la Consulta sancisce che non si tratta di operare spostamento di funzioni dai BIM alle Comunità Montane nè di sottrarre ai BIM alcuno dei loro compiti istituzionali.

 

  • Scenari futuri per il BIM

Il Comune oggi ha tre possibilità di esercitare il suo diritto al sovracanoni BIM:

– gestione in proprio. Per arrivarci occorre che almeno 3/5 dei 78 Comuni decidano di revocare la loro adesione al Consorzio BIM. La difficoltà qui consiste nel fatto che, per stare al BIM Adda, dovendosi effettuare il riparto occorrerebbe che tutti e 78 i Comuni fossero d’accordo nella percentuale di ciascuno;
– gestione solidale. L’unica via possibile al riguardo è quella della esistente soluzione consortile, sia pure adeguando l’Ente alle esigenze del terzo millennio, e tenendo conto che il BIM ha una sua autonoma capacità amministrativa nel solco delle indicazioni programmatiche di carattere generale;

– gestione rinunciataria. I Comuni potrebbero rinunciare ai loro diritti trasferendoli, ad esempio, alle Comunità Montane oppure alla Provincia.

Alcune  possibili scelte riguardo al futuro del BIM potrebbero essere:
1-  Sopprimere il BIM

2  – Mantenere il rapporto BIM/Comunità Montane così come oggi. E’ premiante per le singole zone egoisticamente intendendo la destinazione delle risorse ma è penalizzante, di riflesso anche per la gente delle cinque zone, per problemi di scala maggiore e d’interesse  provinciale o comunque sovracomunitario.

3 –  Innovare

Innovare – termine ovunque di gran moda oggi, soprattutto a parole mentre quando si passa al concreto spesso e volentieri scatta ‘la resistenza al cambiamento’, presuppone:
– prima approfondire per conoscere,
– poi conoscere per valutare,
– poi valutare per ideare,
– poi ideare per sperimentare,
– poi sperimentare per verificare.

Ai posteri l’ardua sentenza

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